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Quando pensavamo di essere al sicuro e avere raggiunto il controllo sull’ambiente […] ci siamo resi improvvisamente conto della nostra fragilità.

La pandemia e, a seguire, la guerra e i suoi orrori , ci hanno ricordato che quanto letto sui libri di storia è ancora realtà. Presi come eravamo dal benessere e dalla ricerca della felicità, ci eravamo dimenticati di quanto fossimo limitati e mortali, e di quanto la natura sia imprevedibile e incontrollabile.

Tutto è iniziato con lo sviluppo repentino della tecnica, ovvero quando l’uomo ha incrementato in modo esponenziale il suo impatto sulla natura, volto a sottometterla ai propri fini. I notevoli risultati raggiunti hanno indotto gli uomini a credere  di poter aumentare il controllo sull’ambiente e sul proprio corpo, fino a rimuovere ogni ostacolo, dimenticandosi quasi dei limiti insiti nella natura umana. Sicuramente, gli scienziati conoscono bene questi limiti, perché li incontrano nel loro lavoro di ricerca. Infatti, chi ogni giorno prova a comprendere, arginare e superare i limiti imposti dalla natura, sa bene quanto noi umani siamo fuscelli esposti ai venti della tempesta; non dominatori incontrastati del mondo, ma parti di esso al pari delle altre.

Molti di noi, però. vivevano e pensavano come se la tecnica e la medicina stessero conducendo l’essere umano al dominio incontrastato della natura e alla sconfitta delle malattie. Inoltre, consideravano illimitate le risorse a disposizione presenti in natura. Fame, malattie, sofferenza e dolore, in questa illusione, stavano definitivamente scomparendo dall’orizzonte umano. Potevamo sentirci al sicuro. Ogni difficolta stava per essere rimossa e ogni problema stava ricevendo una soluzione.

La disillusione

Un giorno ci siamo svegliati e abbiamo scoperto di essere tutt’altro che al sicuro. Al contrario, ci siamo resi conto della nostra vulnerabilità, oggi come lo eravamo nel passato. La medicina ha fatto enormi passi in avanti, e ci ha dato la sensazione di avere a disposizione un rimedio per ogni male. La tecnica ci ha illusi di poter evitare la fatica, delegandole i compiti più gravosi. La democrazia, infine ci ha illusi che le guerre non avrebbero più interessato i paesi occidentali.

Il risveglio è stato brusco e ci fatto precipitare in uno sconforto che molti di noi non avevano mai conosciuto. Abbiamo scoperto improvvisamente di essere esposti a pericoli che pensavamo non più presenti. Quando la tecnica ha potuto mettere una pezza alla pandemia, ecco che si sono risvegliati gli istinti predatori mai scomparsi dal cervello umano. Quando cominciavamo a fare i conti con le paure legate al Covid-19, l’aggressione russa all’Ucraina ha attivato le ormai dimenticate paure e incertezze dei tempi di guerra.

La grande sofferenza

Chiusi in casa a imparare a lavorare in modo nuovo, o davanti ai telegiornali in attesa di notizie, abbiamo riscoperto la paura, la noia, il lento scorrere del tempo in attesa di un filo di speranza, il valore della condivisione delle emozioni e della vita che conducevamo in precedenza. Le giornate che si ripetevano tutte uguali, e il tempo a disposizione ci hanno portati a riflettere sulla nostra condizione e a guardarci dentro. Quando ci siamo fermati, e abbiamo riscoperto la paura senza vie di fuga, abbiamo sofferto, desiderato che tutto finisse e che potessimo tornare alle nostre illusioni.

Vivere nonostante la pandemia, e con la guerra alle porte di casa

Il virus è così piccolo da non poterlo vedere. Se lo vedessimo potremmo provare a schiacciarlo o a infilzarlo per eliminarlo dalla nostra vita. Un nemico invisibile è capace di generare paure e preoccupazioni destabilizzanti, soprattutto se la minaccia dura a lungo. La guerra in Ucraina è più visibile, almeno in modalità virtuale, ma è altrettanto minacciosa e capace di renderci inquieti e spaventati.

Con queste inquietudini, coscienti e inconsce, ci alziamo ogni mattina e ci occupiamo della nostra vita. Proviamo a spostare l’attenzione sulle cose da fare, in modo da distrarre la nostra attenzione dai fantasmi presenti nella nostra mente. Abbiamo riscoperto la paura per la nostra incolumità fisica e psicologica.

La mia nonna allevò mia mamma e partorì mia zia durante la seconda guerra mondiale. Mi raccontava delle sue fatiche quotidiane, ma poco delle sue preoccupazioni. Tutti erano intenti a sopravvivere alle bombe e alla fame. Le domande venivano relegate ai pochi momenti liberi dalla fatica. Il fatto di lavorare alacremente tutti i giorni dall’alba al tramonto, poteva distrarla dalla guerra, ma le inquietudini e le paure venivano solo momentaneamente accantonate per essere riattivate in seguito.

Le conseguenze della paura e delle incertezze

Lunghi periodi di tensione lasciano spesso segni che durano nel tempo. La mia nonna, passata la grande guerra, ha continuato la sua vita portando con sé dietro abitudini, atteggiamenti, incertezze e paure sperimentate nel lungo periodo del conflitto. Preoccupazioni legate alla fame, alla salute e alla sicurezza propria e delle persone care, l’hanno accompagnata per tutto il resto della sua vita.

In forma diversa, gli eventi degli ultimi due anni possono lasciare il segno e riverberarsi nelle nostre esistenze per lungo tempo.

I segni dello stress sono oggi presenti e ben visibili in molte persone. Le abitudini che caratterizzano la vita di ciascuno di noi, producono una sensazione di stabilità e di sicurezza, oltre a farci risparmiare tempo ed energie. Sapere cosa ci aspetta ogni giorno può risultare noioso, ma induce un senso di sicurezza. Solitamente, siamo noi a cambiare una nostra abitudine, e lo facciamo quando diventa una necessità, quella di cambiare una routine diventata inadatta a soddisfarci. Nonostante in questi casi la scelta sia operata dalla persona stessa, cambiare richiede comunque uno sforzo.

Date le premesse inerenti le abitudini, dobbiamo immaginare la pandemia e la guerra come dei dittatori che ci obbligano a cambiare tutte le nostre abitudini quotidiane, e di conseguenza, a modificare buona parte delle nostre certezze. Le conseguenze sono inevitabili, e rimangono strascichi che si allungano nel tempo. Questi segni hanno anche dei nomi, come depressione, ansia, disturbo post traumatico da stress, attacchi di panico o, semplicemente, disagio dai contorni sfumati, che può accompagnarci a lungo.

Un possibile rimedio

Il mio suggerimento è quello di provare a riconoscere e a dare un nome a questo disagio. L’esatta provenienza del disagio ha un’importanza relativa; va riconosciuto per poterne contenere gli effetti sul nostro comportamento e mettere in moto un processo di cambiamento proprio quando ci rendiamo conto di essere stati condizionati da eventi esterni gravi, e per questo destabilizzanti.

Date un nome alle emozioni che vi affliggono, accettatele come la normale conseguenza di quanto sta accadendo e non abbiate timore a parlarne in modo esplicito.