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L’autostima è un concetto ampio

Il significato più profondo di fiducia in sé stessi, però, consiste nell’essere confidente che in ogni situazione della vita, e non solo in compiti o contesti prevedibili, saremo all’altezza della situazione.

Detto così, sembra che si debba essere performanti sempre e comunque. In realtà, non è questo che intendo. Autostima, nella sua accezione più ampia, è la sensazione di essere in grado di correre dei rischi ed eventualmente cadere, accettando l’inciampo, leccandosi le ferite e riprendendo il cammino interrotto. Godere di buna autostima significa non aver paura di rischiare, di sbagliare e di incontrare un fallimento. Quello che conta è ripartire senza indugiare eccessivamente sulle sconfitte. L’obiettivo non è quello di “non cadere mai”, ovvero essere perfetti, ma cadere senza lasciare spazio allo sconforto più buio.

La sorgente dell’autostima

Due sono i fattori che creano fiducia in sé stessi e nella vita:

  1. fattori biologici individuali innati;
  2. le esperienze di vita.

Questi fattori interagiscono tra di loro sin dal concepimento, rinforzano e indeboliscono il coraggio di esplorare e sperimentare, per realizzare il potenziale umano insito in ciascuno.

Tra le prime esperienze di vita, quella con i genitori è senza dubbio fondamentale; l’approvazione e l’amore incondizionato di mamma e papà sono le basi strutturali dell’autostima. Anche dopo la scomparsa dei genitori, il senso di avere un valore intrinseco, a supporto della vita, permane e si annida in ogni cellula.

La teoria dell’attaccamento di John Bowlby è il sostegno scientifico a queste affermazioni.

Il contributo dei genitori

La premessa è che i genitori sono convinti, quasi sempre, di fare il meglio per i propri figli. Questa convinzione, però, verrà giudicata a posteriori dai figli stessi. In qualsiasi caso, i genitori sono stati a loro volta figli, imparando ad amare ed essere amati in base a quello che erano i loro genitori. Non ha quindi senso attribuire colpe e responsabilità genitoriali a prescindere dal concatenamento delle generazioni che si susseguono.

A questo proposito, ciascuno di noi ha la possibilità di interrompere l’automatica trasmissione di modelli relazionali ed educativi. Il cambio di rotta, rispetto a quanto ricevuto nella propria vita, richiede la volontà, l’impegno, la determinazione e la tenacia necessari per opporsi al ripetersi abituale delle proprie reazioni.

La buona notizia è quindi rappresentata dalla possibilità di modificare, attraverso esperienze relazionali successive, il senso di sicurezza, la certezza di valere e la fiducia nella possibilità di affrontare positivamente le diverse vicissitudini umane. Insegnanti, amici, nonni, compagni o compagne di vita sono infatti in grado di correggere l’immagine negativa di sé creata nell’infanzia.

Io non esisto

La scoperta di essere incinta, può avere significati diversi da donna a donna. per alcune di esse, significa interrompere forzatamente i progetti in corso, ad esempio quelli lavorativi o di vita di coppia senza particolari impegni e responsabilità. In casi come questi, se non avviene una rapida accettazione degli eventi, e il cambio del proprio vissuto rispetto alla maternità imminente, il nascituro diviene un peso, un ostacolo alla realizzazione dei propri desideri.

Anche nel caso di fattori ambientali avversi come, ad esempio, la depressone della madre, la scomparsa precoce dei genitori, il vissuto del bambino corre il rischio di essere quello di abbandono, di non essere importante per i genitori, di non essere stato desiderato, di non essere costantemente al centro della loro vita.

Come può stare un bambino che, consciamente o inconsciamente pensa e prova emozioni come quelli che riporto come esempio di seguito?

  • non ho la loro attenzione
  • non mi dedicano il loro tempo
  • hanno altro a cui pensare
  • mi sento abbandonato
  • devo badare a me stesso
  • devo gestire il olore
  • devo imparare a stare da solo

Sotto le  risposte razionali come “devono lavorare”, “devono occuparsi dei fratelli più piccoli”, “sono stanchi” o “non stanno bene”, che i bambino si da e che i genitori propinano loro, si struttura la convinzione di non valere abbastanza per interessare a mamma e papà.

Quella che, col tempo diventa una convinzione profonda è

Io non sono abbastanza per meritarmi il loro amore

IO NON VALGO

Questa convinzione non riguarda, quindi, le capacità pratiche, le competenze, quanto quelle interpersonali. Essa viene sepolta così profondamente dentro di sé, da agire senza che la persona ne sia consapevole.

Il dolore, il senso di vuoto e di solitudine sono così profondi, da non avere una soluzione semplice. “Sentiredi essere importanti per qualcuno, e di avere un valore che permetta di venire amati senza dover fare niente se non essere quello che si è, senza dover essere bravi o agire compiacendo gli altri,

Queste basi di partenza possono condizionare l’intera vita delle persone; vanno quindi riconosciute e modificate intenzionalmente con l’aiuto di professionisti e l’utilizzo del lavoro corporeo, oltre a quello della parola. L’ipnosi e l’EMDR sono ulteriori strumenti di lavoro con i professionisti. diventa la missione per sé stessi