… segue “Il mondo che conoscevamo non esiste più”
TEAM, ovvero Together Everyone Achieves More, implica l’interazione e l’interdipendenza di tutti i componenti di un gruppo, uniti verso lo stesso scopo.
Mai come oggi l’unione fa la forza e l’acronimo TEAM deve essere inteso come l’intera popolazione italiana, 60 milioni di persone che orientano il loro impegno verso un unico obiettivo.. Ognuno di noi, riducendo i contatti sociali, contribuisce al contenimento della diffusione del coronavirus. Il prezzo psicologico per le persone è molto alto, sia nel presente da reclusi nelle proprie abitazioni, sia nel futuro post emergenza che, presumibilmente, ci lascerà ricordi traumatici di quanto sta accadendo.
Se in questo momento l’obiettivo è non ammalarsi, possiamo chiederci che obiettivi dovremo darci nel futuro. Il momento è favorevole allo strutturarsi di nuove abitudini individuali e di nuovi modelli sociali ed economici. I suggerimenti non mancano e provengono dalla necessità di salvare vite umane, di mandare avanti l’economia, riempire i supermercati, alimentare i rapporti sociali, mantenere la salute fisica e mentale, garantire l’istruzione ai giovani costretti a casa.
A cosa stiamo rinunciando rispetto a un passato che credevamo essere scontato e irrinunciabile manifestazione dello sviluppo? Per rispondere basti pensare alla libertà individuale che ci ha costretti a trascorrere molto tempo in compagnia di noi stessi, privati come siamo degli abituali distrattori. I pensieri angoscianti, le paure più profonde legate alla solitudine, alla sofferenza e alla morte trovano il loro spazio nelle lunghe giornate trascorse in casa. Queste giornate, private delle loro abitudini anestetizzanti e alimentate dall’incessante flusso di notizie, vedono volteggiare fantasmi che speravamo potessero rimanere per sempre nelle cantine inconsce. Racconti di guerra delle generazioni precedenti che pensavamo non ci avrebbero mai riguardato. E, invece, ecco riapparire in forma imprevista la paura di ciò che non possiamo controllare e che ci riporta al tempo in cui invocavamo le forze della natura affinché fossero clementi. Oggi invochiamo la scienza ma, purtroppo, dobbiamo anche riconoscerne i limiti. Gli scienziati sanno bene quanto, nonostante gli enormi progressi, siamo ancora molto esposti e fragili rispetto agli eventi naturali.
Da questa riflessione possiamo trarre piccoli ma favorevoli insegnamenti da utilizzare a fine pandemia. Il mondo globale mostra i suoi limiti perché di globale ha solo lo scambio delle merci. Globalizzare il benessere dei singoli e delle società è la fondamentale sfida dell’umanità.
Benessere significa vivere bene. Pensando a chi lavora, ad esempio, le aziende stanno imparando che si può dare fiducia ai dipendenti facendoli lavorare da casa e che le riunioni tra romani e milanesi possono avvenire in teleconferenza senza affollare treni e aerei alle 6 del mattino. Le persone stanno imparando quanto siano importanti i rapporti vis a vis, adesso che non li possono avere, che si può rinunciare a qualche weekend low-cost, di quelli in cui si viene portati a spasso da fabbriche volanti di anidride carbonica. Scopriamo anche che e possibile sopravvivere senza ricevere pacchi a domicilio consegnati in un giorno da lavoratori pagati a cottimo. Scopriamo che la sicurezza dei lavoratori nelle fabbriche è più importante di qualsiasi interesse e che gli anziani sono parte fondamentale del tessuto sociale anche se non producono denaro e percepiscono una pensione, ma dispensano saggezza e sorrisi che rendono felici i bambini.
Rimanere uniti oggi e dare singolarmente il proprio contributo per uscire da questa drammatica situazione, ci consentirà di sviluppare la consapevolezza di quanto sia auspicabile un mondo globalizzato dal punto di vista dei valori umani, oltre che dallo scambio di beni.
Ogni giorno ci svegliamo e ci rendiamo immediatamente conto che sarà un’altra giornata priva di quella ordinarietà che tanto ci rassicurava. Possiamo costruire una nuova normalità se accettiamo di vivere momentaneamente da reclusi, ma ricordiamoci che siamo a casa nostra e che questo è un privilegio. Ci eravamo dimenticati delle malattie infettive e delle epidemie e adesso possiamo rientrare in contatto con la nostra vulnerabilità, riflettendo dal divano di casa e non dalle trincee in cui andarono i nostri nonni.