La vergogna di se stessi è un sentimento molto diffuso, che ha ripercussioni negative sulla vita delle persone. Essa ostacola l’espressione del potenziale creativo, impedisce di essere autentici nelle relazioni umane e alimenta il senso di colpa.Non riguarda necessariamente tutta la persona, ma una parte di essa, del suo fisico, delle sue capacità, dei suoi comportamenti, pensieri o condizione sociale, culturale ed economica.
Il vissuto soggettivo è sempre lo stesso, indipendentemente dal fatto che la persona possa avere o meno un ruolo attivo nel prodirre l’aspetto indesiderato. Ci si puù vergognare della propria famiglia e, come è evidente, non si può fare neinte per cambiare papà, mamma, fratelli e sorelle. L’aspetto fisico, inteso come i lineamenti culturalmente ritenuti gradevoli o sgradevoli, sono un altro aspetto della persona che non può essere cambiato, salvo ricorrere alla chirurgia estetica. È difficile accettare ciò che siamo e, in assenza di un responsabile della condizione che ci è sgradita, ce la prendiamo con noi stessi, vivendo scontenti, autocolpevolizzandoci e attribuendoci responsabilità che non abbiamo. Al contempo, quello che possiamo fare per migliorare la nostra condizione non viene considerato. Cosa possiamo fare? Probabilmente poco di quello che ci viene in mente in prima battuta. Non possiamo diventare belli, ricchi e intelligenti, non possiamo scegliere di tornare di riavvolgere il nastro della nostra vita fino al momento in cui siamo nati, sperando di finire nella famiglia perfetta che vediamo nelle pubblicità. Certamente non voglio assimilare in alcun modo le recriminazioni di chi avrebbe desiderato essere alto o benestante, con chi è nato con una grave malattia che ne condizionerà la vita, ma quello che entrambi possono fare non è cambiare il proprio passato, il proprio patrimonio genetico o il contesto in cui è nato.
A tutti, la sola possibilità che viene offerta è quella di vivere la vita con quello che si ha a disposizione. Per alcuni l’adettamento sarà più semplice, per altri potrebbe rivelarsi un’impresa quasi impossibile, ma non possiamo cambiare le carte in tavola. Se continuiamo a non piacerci, a rifiutare che le cose siano davvero così, o a odiare coloro cui è stato riservato un destino migliore, non vivremo la vita e continueremo a lamentarci. Quando saremo stufi di lamentarci e prenderemo atto che solo noi siamo in grado di fare qualcosa di utile per migliorare la nostra condizione, potremo scuoterci e risvegliarci dall’anestesia che ci siamo somministrati per tanto tempo. Serve energia per mettersi in moto, e come il motorino di avviamento dell’automobile attinge energia dalla batteria, noi dobbiamo ricorrere alle riserve di energia vitale per riportare dentro tutte le parti disperse di noi, decidendo che da quel momento in poi vogliamo vivere e godere di quanto abbiamo a disposizione. Poco o tanto, è sempre meglio che usare la vita come il tempo del lamento. La stima per noi stessi crescerà per il semplice fatto di aver deciso di fare qualcosa per noi, indipendentemente dal punto di partenza e dai risultati che saremo in grado di ottenere.
La maggior parte delle persone che ristagna nel dolore crede di non avere strumenti e risorse da attivare. Pochi o tanti, tutti siamo dotati di strumenti utilizzabili, ma spesso chiederemmo che a metterci in moto fosse qualcuno di esterno a noi stessi. Le cose vanno al contrario; noi ci dobbiamo mettere l’energia per partire, poi potremmo scoprire con sorpresa che l’ambiente si è accorto di noi e ne terrà conto quando offrirà nuove opportunità.