Gestire l’ansia è una capacità utile a tutti e in tutti gli ambiti della vita. La sua funzione è quella di tenerci attivi in previsione di un evento percepito come pericoloso e di aiutarci a organizzare il nostro comportamento per far fronte al suddetto evento.Quando l’attivazione è eccessiva per la sua intensità e perdura troppo a lungo, l’ansia assume quella caratteristica negativa e invalidante che molte persone subiscono. Tecniche e strategie di breve periodo ne sono state formulate in quantità, ma appaiono un po’ meccanicistiche e dispendiose in termini di energia. Ogni volta che ci sentiamo travolti dovremmo applicare la tecnica e respirare profondamente per ritrovare la calma. La modalità di vivere gli eventi avversi e temuti della vita in questo modo non cambia. Imparare a gestire l’ansia è un percorso che implica la comprensione e l’accettazione delle ragioni che, nella nostra storia di vita, ci hanno resi così preoccupati, oltre alla presa d’atto di una nostra predisposizione ad anticipare col pensiero ciò che ci aspetta. Conoscere e accettare sono i primi passi, cui deve seguire la consapevolezza di essere noi, e solo noi, in grado di fare qualcosa per stare meglio. Possiamo e dobbiamo chiedere aiuto, ma quando verremo presi dallo sconforto e dal timore, saremo soli con la nostra mente e i fantasmi che è in grado di produrre.
Incidenti, malattie, lutti e separazioni prolungate sono in grado di impedire lo sviluppo di un attaccamento sicuro verso le figure di riferimento, con conseguenze che possono ripercuotersi a lungo, dando vita a un senso di insicurezza diffuso. Gli eventi citati sopra, per fortuna non toccano tutti i bambini. Molto più spesso, invece, a produrre uno stile di attaccamento insicuro, con le conseguenze che ne derivano, sono le relazioni con i genitori. Essere buoni genitori non significa essere perfetti. Ogni mamma e ogni papà fanno del loro meglio per facilitare la vita dei loro figli, offrendo protezione, esempi, educazione, formazione e opportunità di crescita. Nella totale buona fede però, i genitori trasferiscono col loro comportamento anche le proprie paure, le proprie speranze, le proprie preoccupazioni e, con l’esempio, anche il loro modo di reagire agli eventi. Genitori preoccupati finiscono per proteggere eccessivamente i figli, impedendo loro di fare esperienze dirette della frustrazione ma anche della capacità di affrontare le difficoltà. Quella che comunemente chiamiamo autostima, va intesa non tanto nella capacità di fare qualcosa, una competenza tecnica, quanto nella sicurezza di sapersi porre, nelle situazioni di difficoltà, con fiducia nella propria capacità di stare nella sofferenza e di uscirne, prima o poi. Se non abbiamo avuto la possibilità di svilupparla quando eravamo bambini, possiamo iniziare a farlo adesso. Cosa può accadere nel peggiore dei casi? Ci aiuta continuare a rimuginare su quanto potrebbe succedere? La risposta la conosciamo, ma facciamo fatica a mollare la presa. La mente, come la lingua, va sempre dove il dente duole.
Mi viene da dire che, se la nostra storia ci sembra sfortunata e piena di fatti dolorosi, oggi non la possiamo cambiare. Possiamo però prendere atto che siamo vivi e possiamo essere artefici di quello che sarà da adesso in poi. L’importante è evitare i confronti con chi ci appare come più fortunato. Non conosciamo il suo mondo interiore e, in ogni caso non possiamo fare cambio.