Mi guardo intorno mentre cammino in città, vedo persone che, ai miei occhi, sembrano dinamiche e contente di quello che stanno facendo. Mi chiedo se sia davvero così o se indossino una maschera che li protegga dal giudizio di chi li osserva.
Credo piuttosto che questa sia la modalità che le persone devono mostrare in pubblico, ma che dentro siano prese dai problemi, dalle preoccupazioni e dalla frenesia della vita quotidiana. Nella nostra società, quello che ci rende cupi, i problemi e le preoccupazioni appunto, non possono essere mostrati. Che cosa comporterebbe essere autentici, quello che siamo in quel momento, tristi o felici, pensierosi o non sereni? Che cosa temiamo se pensiamo di essere spontanei?
La risposta sta nella necessità di sentirsi accettati, e il timore che i nostri stati d’animo autentici possano allontanare le persone da noi. Questi timori ci inducono a creare delle maschere esteriori che non coincidono con quello che siamo dentro. Il prezzo che paghiamo per questo atteggiamento rivolto all’esterno, volto a sentirci accolti e non precipitare nel senso di solitudine, è vivere uno stato di conflitto con noi stessi. Stiamo in un certo modo ma non possiamo mostrarlo.
Il benessere psicologico deriva anche dalla possibilità di esprimere le nostre emozioni e condividendole con altri. Reprimerle sistematicamente produce sofferenza, quindi, trovare un equilibrio che ci permetta di mantenere rapporti soddisfacenti con noi stessi e con le altre persone è un obiettivo importante.
Il primo passo è accettare la nostra condizione: i nostri limiti, la famiglia nella quale siamo vissuti, il nostro fisico, il nostro carattere, la nostra intelligenza, la nostra salute e tutto quello che vorremo cambiare ma che non possiamo. Fatta pace con noi stessi, sarà decisamente più facile mostrarci senza maschera. L’autostima ha bisogno della nostra autenticità, della coerenza tra dentro e fuori, un equilibrio difficile nella società ma possibile da trovare.