Nessuno è perfetto è un noto aforisma, poco considerato dalle persone quando pensano e parlano di se stesse. Al contrario, è molto usuale pensare positivamente di quello che pensano e fanno le altre persone, al punto di intravedere, in alcune di queste, una perfezione che non esiste.
Ma di quale perfezione stiamo parlando? Il comportamento è mosso da pensieri consci, ed è spesso influenzato da stati d’animo non consapevoli. Un meccanismo complesso, nel quale l’errore è sempre possibile e fa parte dell’essere umano.
Basterebbe ricordarselo e iniziare a essere indulgenti con noi stessi quando sbagliamo e quando, osservandoci allo specchio, non riconosciamo la persona che vorremmo essere nell’immagine riflessa. Le imperfezioni fanno parte del nostro essere e, quindi, del nostro agire quotidiano. Purtroppo, siamo più intolleranti verso i nostri errori / limiti, rispetto agli errori e ai limiti altrui. Chiediamo a noi stessi di non sbagliare mai (a volte, tra l’altro, i criteri adottati nei nostri confronti sono davvero rigidi) e, siccome non è possibile, l’errore diventa motivo di auto colpevolizzazione. Gli errori, inoltre, non appartengono solo al dominio del fare quotidiano; sono fonte di sofferenza anche le nostre emozioni e i nostri sentimenti.
Desidero ricordare che i comportamenti indotti dalle emozioni possono essere solamente gestiti, portati sotto il nostro controllo razionale, in quanto non è possibile impedire a noi stessi di provare le emozioni con un atto della volontà. Possiamo ottenere maggiore benessere smettendo di chiedere a noi stessi di non provare quelle emozioni. Se in quel momento proviamo ansia o ci sentiamo depressi, continuare a dirci che non vogliamo stare in quel modo rafforza l’idea che in noi qualcosa non va e che siamo sbagliati.
Sovente sento dire, non è giusto che io sia arrabbiato, oppure, non mi piace quando mi sento così, o ancora, non voglio sentirmi triste. Se si è tristi, si è tristi e basta. Se oggi, uscendo di casa scopriamo che sta piovendo, possiamo solo ripararci dalla pioggia, ma non possiamo impedire che piova.. Il giudice implacabile dentro di noi è sempre pronto ad alzare l’indice accusatore contro di noi, facendoci sentire in colpa per quello che proviamo o facciamo.
Un caso paradossale ed emblematico del percepirsi inadeguati, sempre e comunque, si verifica nelle donne vittime di violenza. In queste persone si scatenano spesso, insieme alla paura, alla rabbia e al risentimento, anche vergogna, senso di colpa e di inadeguatezza, emozioni queste ultime, non congrue per chi si trova nel ruolo di vittima. Queste donne, non di rado, si accusano di non aver reagito diversamente di fronte agli aggressori o, addirittura, di averli provocati, giustificando così comportamenti in verità inaccettabili. Se le cose sono andate in quel modo, oggi non aiuta colpevolizzarsi. Le emozioni negative fanno male e non serve aggiungere il senso di colpa al dolore provato. Qualcuno obietterà che la critica serve per migliorare, e che è utile mettersi in discussione, non pensando di essere sempre nel giusto. Sono completamente d’accordo. È necessario osservare il proprio operato, fisico e mentale, per individuare eventuali aree di possibile trasformazione in senso migliorativo. In questo modo saremo in grado di mettere in atto meccanismi più utili a noi stessi, aumentare la conoscenza degli automatismi che ci governano, e aumentare la fiducia in noi stessi per riportarli sotto il nostro controllo.
Attenzione però a dove si pone l’asticella. Se il limite è la perfezione, si è destinati a fallire, proprio perché nessuno è perfetto. Cambiare nella direzione del miglioramento è auspicabile, ma essere soddisfatti solo se si è sempre al massimo, rende infelici.