Sono partito da alcune riflessioni di Fabrizio Acanfora (leggi una sua intervista), per puntare i riflettori sul concetto di disabilità.
Non sono disabile, ma lo divento ogni volta che la mia carrozzina incontra uno scalino insormontabile.
La società è stata pensata, progettata e costruita per rendere disabili coloro che non hanno specifiche caratteristiche. La disabilità, quindi, non è insita nella persona, ma viene generata dalle strutture sociali che tengono conto di standard definiti in base alla maggioranza delle persone. Queste persone che hanno fornito gli standard sono definite “normali“. Se prendessimo come standard di mobilità un atleta di 20 anni, i marciapiedi potrebbero essere alti 50 centimetri e risultare insormontabili dalla maggior parte delle persone. Lo stesso 20 enne preso come punto di riferimento per progettare i marciapiedi, prima o poi, diventerebbe disabile.
Non sono disabile, ma lo divento ogni volta che le scritte troppo piccole, mi impediscono di leggere.
È scaduto il tempo, ed è improcrastinabile il ripensamento delle strutture fisiche e delle culture che escludono una parte delle persone dall’accesso autonomo alle risorse.
“Un ideale artificiale di normalità”, così lo definisce Acanfora, esclude tutte le persone che non possiedono specifiche caratteristiche. Tutte le persone, in qualche fase della loro vita, possono venire disabilitate ed escluse dall’accesso autonomo alle opportunità offerte ad altri.
La società è responsabile della “disabilitazione” di tutte quelle persone che, stabilmente o temporaneamente, dalla nascita o a causa di un cambiamento sopraggiunto nel corso della vita, o per ragioni sensoriali, fisiche o mentali, non corrispondono a uno standard.
Non sono disabile, ma lo divento ogni volta che mi viene chiesto di essere emotivamente forte.
Chi rientra negli standard artificiali di normalità, ha il diritto di rappresentare se stesso a modo proprio, e di definirsi in base a come si percepisce. A quelle persone disabilitate dalla società, è la società stessa ad appiccicare l”etichetta negativa a queste persone. È la società stessa che talvolta cambia queste etichette, ad esempio, da handicappati a disabili e poi a persone con disabilità. Il cieco diventa non vedente, il sordo diventa non udente, la persona appartenete allo spettro autistico viene trasformato in un neurodiverso e il matto diviene un malato psichiatrico..
Gli handicappati, così si chiamavano tempo fa , per essere accettati nella società, anziché venire discriminati, devono essere così bravi affinché valga la pena portarli a esempio affinché anche gli altri disabilitati si abilitino attraverso uno sforzo ammirevole. “Siete voi quelli sfigati, quindi datevi da fare” per emergere, così poi vi mostriamo allo zoo degli storpi che hanno imparato a camminare.
Infine, vorrei ricordare che molti motivi per cui si può venire disabilitati, non si vedono. Le persone che vivono condizioni di questo tipo, dovranno anche spiegare che sono in difficoltà, e sperare di essere credute senza dover mostrare il certificato di invalidità.
Non sono disabile, ma lo divento ogni volta che devo correre al bagno saltando la coda a causa di una improvvisa scarica, causata da un a malattia autoimmune.