Quale potrebbe essere il vantaggio di essere autentici?
Mostrarci nelle relazioni interpersonali per quello che siamo, ovvero essere autentici, non indossare una maschera per entrare in rapporto con le altre persone, ha positivi risvolti sulla persona, soprattutto se si tratta di relazioni significative dal punto di vista affettivo. Il proverbio “l’abito non fa il monaco” presuppone che quando entriamo in relazione con qualcuno, dobbiamo sapere che siamo di fronte a un abito, una maschera, indossati per dare un’immagine di sé che non corrisponde al contenuto, cioè la nostra essenza autentica.
Non vorrei apparire ingenuo sostenendo che sarebbe opportuno non tenere conto delle convenzioni sociali e delle regole dei contesti in cui viviamo, assumendo un atteggiamento del tutto spontaneo che tiene conto esclusivamente di noi stessi, dei nostri bisogni, desideri e impulsi. La vita sociale limita la completa espressione del singolo individuo, ma sono certo che buona parte di noi ponga a se stesso vincoli che vanno aldilà di quanto sarebbe necessario per stare con le altre persone.
Il lavoro di psicologo mi permette di entrare in contatto con il timore di molti pazienti di mostrare all’esterno le parti di loro stessi ritenute fragili, indesiderate, difettose e indegne. Vergogna, senso di colpa, paura, rabbia e, talvolta disprezzo verso se stessi, inducono a nascondere i propri presunti limiti, per mostrare solo le parti ritenute mostrabili all’esterno. Il rifiuto delle proprie parti indesiderate costringe a investire energie nella promozione di una immagine inesistente di se stessi, creata solo per non naufragare nel confronto con gli altri.
Perché ci risulta così difficile accettarci così come siamo? Riuscire in questa operazione ci consentirebbe di essere fuori quello che siamo dentro, indossando solo quelle maschere che aiutano la buona convivenza, ma abbandonando quelle che servono solo a nascondere i nostri limiti umani. L’ansia che viviamo deriva anche dall’obbligo che ci siamo imposti di essere desiderabili agli occhi degli altri, anche se la percezione di quello che siamo rimane negativa, o meglio, così crediamo che sia.
Le limitazioni con le quali ogni giorno facciamo i conti sono un fardello pesante di per sé, ma noi riusciamo a renderlo ancora più difficile da sopportare, rifiutando di essere quello che siamo. Allora fingiamo col mondo che i nostri limiti non esistano, nascondendo la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Fingere non elimina la verità, ma la relega da qualche parte dentro di noi, e da lì continuerà a produrre i suoi effetti di malessere costante. Accettare di essere quello che siamo è difficile, quanto curativo, del mal di vivere.
Per accettare esiste solo la strada del riconoscimento della nostra condizione, con tutte le emozioni che esplodono quando prendiamo atto della realtà. Se, per esempio, la rabbia di avere un limite ci fa troppa paura e ci provoca troppo dolore, possiamo scegliere se vivere questo dolore fino al suo lento dissolvimento o evitarlo, indossando una delle tante maschere possibili. Con noi però, la fuga non può funzionare, perché la verità verrà insieme a noi, e quando saremo con noi stessi si farà viva.
Gli altri, quelli di cui temiamo il giudizio, non sono nella posizione di poter giudicare perché anch’essi sono umani e affrontano come tutti le limitazioni della condizione umana.