La paura della solitudine, in un mondo sovraffollato come quello in cui viviamo, sembra paradossale. Infatti, basterebbe uscire di casa e aprirsi all’esperienza con altri esseri umani, per non essere più soli. Purtroppo, non saremmo soli ma continueremmo a sentirci soli. Superare la solitudine non significa essere fisicamente in compagnia, ma sperimentare la vicinanza delle anime, condividere esperienze e sentimenti e sentirsi in armonia con quello che ci circonda. Non sentirsi soli significa innanzitutto stare bene con se stessi, vivere con piacevolezza la propria compagnia come se fosse quella del miglior amico possibile.
Questa condizione non è scontata e rappresenta una conquista, spesso faticosa e preceduta da sofferenza. È un percorso, quello dall’autonomia, che passa dalla totale dipendenza affettiva del bambino, alla progressiva costruzione di una sicurezza che non dipende dalla presenza di un’altra persona. La presenza rassicurante dei genitori, deve diventare col tempo, esortazione progressiva all’esplorazione e all’indipendenza. Questo progressivo cambiamento dipende da molti fattori, individuali e ambientali che interagiscono per generare il senso di sicurezza di sé, che non dipende dalla presenza rassicurante di persone esterne. Con questo non intendo ovviamente dire che siamo liberi totalmente dagli altri, ma che la perdita delle persone importanti della propria vita, non venga temuto e vissuto come il terrore di cadere nel vuoto, la paura di rimanere soli e abbandonati senza risorse cui attingere.
Amore e affetto sono terreno condiviso con altre persone; il terrore della perdita e della solitudine appartengono, invece, a chi le sperimenta e si alimentano della convinzione di non avere strumenti, risorse e capacità di far fronte alla vita. Perdere una persona cara, o non avere una relazione gratificante, sono condizioni penose ma naturali. La paura di non farcela è un aggravio che si aggiunge e aumenta le pene, ma che risiede dentro di noi e non deriva dalla condizione oggettiva.
Le convinzioni di fragilità, incapacità, debolezza e di non essere amabili, risiedono in noi ancor prima degli eventi che sembrano scatenarle.
La solitudine del nostro tempo si alimenta di false immagini di felicità così diffuse da venire considerate vere. Intorno a noi sembrano muoversi persone felici e vincenti, e il confronto è frustrante. Gli altri sembrano avere capacità spontanee di affrontare la vita con facilità e successo. Nessuno racconta dei propri insuccessi e dei momenti trascorsi nel baratro. Cominciamo a guardare gli altri come nostri simili, ovvero esseri umani che oscillano tra momenti su e momenti giù.
Se troviamo il coraggio di condividere i nostri vissuti interiori, e non solo i fatti sfortunati che ci accadono, possiamo scoprirci meno soli. La condivisione emotiva è alla base del senso di comunità e di appartenenza. Quello che aiuta, se condiviso, è come ci sentiamo e quali emozioni proviamo. Impariamo a esprimere in nostro vissuto e impariamo a essere curiosi di come si sentono le altre persone.
La solitudine non spaventa più quando sappiamo stare con noi stessi, quando sappiamo raccontare noi stessi, quando sappiamo ascoltare gli altri col cuore aperto, così da incontrare l’anima delle altre persone.