Sono qui con le mie ansie di conferma; è asfissiante non sapere autonomamente ciò che nelle relazioni è opportuno fare, e cosa no. Fatico a gestire l’ansia e ho fame di affetto. Forse precorro i tempi. Mi faccio del male e allontano proprio coloro che vorrei vicino. So che l’amore è libertà, non controllo, non possesso, non “farsi fare dagli altri”. “Sono felice perchè tu mi fai felice”. Penso di vantare dei diritti su una persona solo dopo due mesi, Le chiedo se siamo insieme, se conosce il significato di termini quali attaccamento, coinvolgimento dedizione. Pare che io dia meno di quello che ricevo. Io, col mio bisogno di dire “Io esisto”. Sono poco comprensiva ed indulgente, gelosa del passato di una persona. Ho incontrato persone sfuggenti, ma anche le persone che sembravano intenzionate a frequentarmi, alla fine fuggono.
Cosa vuol dire Dipendenza affettiva? Le difficoltà che si incontrano nel tentativo di darne una definizione chiara e univoca, mi suggeriscono prudenza, cosicché, più che una definizione, descriverò alcuni atteggiamenti, emozioni vissute e comportamenti, della persona che si trova in questa condizione. È indispensabile premettere che la completa indipendenza è un’utopia. Il fatto stesso di vivere in una comunità ci mette nelle condizioni di avere necessità di costruire relazioni umane che in qualche modo ci vincolano. La dipendenza affettiva va oltre questa normale necessità di scambio umano, è una condizione particolare di bisogno dell’altro che produce sofferenza. Non è il bisogno di avere dei punti fermi nella propria vita ai quali ricorrere nei momenti di difficoltà. La dipendenza patologica da qualcosa o da qualcuno è di per sé una forma di prigionia della mente, la quale non riesce a percepirsi più libera di fare le proprie scelte. Nella dipendenza affettiva, l’amore si trasforma in un incubo, in uno stato di schiavitù che nega alla persona comportamenti liberi, la costringe ad agire senza tenere in considerazione i propri bisogni, per paura di cadere nel vuoto della propria interiorità.
Partiamo dal bambino e dal suo naturale bisogno di ricevere amore e protezione, che in un sano rapporto con la madre e con le altre figure di attaccamento, produce effetti straordinari nella costruzione di un’immagine positiva di sé. Amore, non amore e semi amore producono effetti di lungo termine nella vita di ogni individuo. La storia di attaccamento di un bambino è in grado di spiegare molto della sua vita adulta e in particolare dei suoi atteggiamenti nelle relazioni interpersonali. Dunque, quando non parliamo del normale piacere nel ricevere amore, ma del rapporto di bisogno morboso di un’altra persona, che niente ha da spartire con l’amore. La persona dipendente sa che il suo oggetto d’amore è il suo carnefice, ma lo giustifica, lo segue, accetta violenza o disprezzo pur di non rimanere sola.
L’indipendenza, che è soprattutto rispetto di se stessi, accettazione del proprio modo d’essere e ricerca di una propria autonomia di pensiero e decisionale, proviene in buona parte dall’educazione ricevuta. Le donne, ancora oggi, vengono spesso educate a dipendere dall’uomo, e a delegare a esso la propria felicità. Alle donne, ancora oggi, e sembra incredibile, viene detto di essere pazienti perché l’uomo è fatto così. Alla donna, in molte famiglie, viene ancora insegnato come diventare serve e schiave piuttosto che a prendere in mano da subito la propria vita. Nessun genitore, ovviamente, usa i vocaboli serva e schiava, ma la sostanza non cambia. Quando a una figlia si concedono meno libertà e indipendenza che a un figlio, o quando le si chiede più disponibilità nei lavori domestici, le si manda un segnale preciso di inferiorità. Il senso di essere portatrice di diritti in quanto essere umano, si costruisce dal primo giorno di vita nell’interazione con le figure di attaccamento. La parità tra individui si respira in casa, non si impara con delle parole vuote. Nel corso della vita è possibile imparare che esiste dentro di sé un centro di potere decisionale affidabile, ma prima di riuscire ad affidarsi a se stessi, si vivono sofferenze e tormenti interiori. Chi dipende affettivamente dal riconoscimento dell’altro, spesso non se ne rende conto. Sembra normale trovare la felicità esclusivamente attraverso una persona esterna. Le cose vanno così, cosa posso fare, mi sembra di non avere altra scelta. Chi è stato abituato ad associare freddezza emotiva, violenza verbale o fisica, disattenzione, prevaricazione e mancanza di rispetto, con il contesto fondamentale dove si dovrebbe invece percepire l’amore, ovvero la famiglia, tenderà a ricercare e a ricostruire quel tipo di contesto pensando di trovarvi l’amore. Cercherà partner poco inclini a dare affetto, a essere solidali, a essere rispettosi e a volere la parità. Pensando di trovare amore, resterà intrappolato nel distacco affettivo senza trovare la forza per uscirne. Spesso, un terapeuta rappresenta la prima persona che si relaziona con questi soggetti con empatia, capacità di ascolto, rispetto per le differenze e curiosità
Per essere felici con una persona libera, bisogna essere liberi. Chi non si sente libero, non riesce a tollerare la libertà altrui e cercherà di imbrigliarlo per paura di perderlo, ma questa strategia non può funzionare.
Connessi alla dipendenza affettiva troviamo gelosia, possessività, violenza fisica e verbale. Tutto ciò avviene in modo trasversale alle classi sociali, alle condizioni economiche e culturali. La speranza di uscirne per cominciare ad avere fiducia di se stessi, anziché affidarsi a un finto amore, può essere riposta, a livello individuale, nella psicoterapia, e a livello sociale in modelli educativi che prevedano l’educazione all’affettività come materia fondamentale di studio per tutte le classi.